Monti, una fisio e due “doc” per vigilare sulla sicurezza dei ragazzi

ROVIGO – Non chiamateli “angeli”. Veronica Brasola, Paolo Occari e Oreste Arduin, rispettivamente fisioterapista e medici, ricoprono un ruolo prezioso, insostituibile e in un certo senso unico: in casa Monti sono chiamati infatti a vigilare sulla salute degli atleti e sul loro recupero dopo traumi, incidenti e infortuni, possibilità sempre dietro l’angolo anche nel rugby giovanile.
Veronica Brasola, 27 anni, padovana di nascita (risiede a Montegrotto Terme) è ormai una rodigina d’adozione: è alla sua terza stagione in rossoblù, con una pausa di un anno tra primo e secondo, ma si è ambientata a tal punto al Battaglini da diventare una tifosa (“Questo sport mi affascina, ti entra dentro”, spiega). Laureata con un master in disordini scheletrici (terapia manuale) all’università di Genova, esercita da dipendente a Este ed è a disposizione dei ragazzi due giorni la settimana, il lunedì e mercoledì, dalle 17 alle 19. “La sicurezza dei giocatori non va mai sottovalutata – queste le sue parole – per cui la presenza di personale qualificato, in allenamento come in gara, è importante perché intorno già ai 16 anni, coi primi veri contatti in campo, iniziano anche infortuni e traumi”.
Paolo Occari, 58 anni, medico del lavoro, assiste in modo discreto ma sempre puntuale da bordo campo alle sedute di allenamento, sempre pronto a intervenire in caso di bisogno. ”Sono da tempo vicino al rugby – racconta -, facevo assistenza alle partite poi è arrivata quest’offerta: seguo i ragazzi dalle 3 alle 4 volte a settimana, era necessario garantire questo servizio sia per i genitori che, ovviamente, per gli stessi atleti. Più veloce è la diagnosi in caso di infortunio e più rapida e certa può essere la guarigione e il competo recupero del ragazzo. Il nostro intervento a volte è in tempo praticamente reale…”.
Oreste Arduin, “camice bianco” anche lui, fa invece ambulatorio allo stadio il martedì pomeriggio dalle 18 alle 19.30: classe ‘51, è approdato in Monti alcuni anni fa dopo un trascorso in forza alla prima squadra. “A mio avviso – racconta – il controllo immediato, cioè già in loco, può permettere laddove possibile di accorciare i tempi di un accesso al pronto soccorso che inevitabilmente son più dilatati. Sono qui per garantire la sicurezza degli atleti ma sopratutto per dare serenità alle famiglie che possono sempre interpellarmi per informazioni e consigli”. Figura storica e decano, ammette di scindere il suo lavoro dal ruolo di tifoso: quanto al rugby, “pur restando uno sport prettamente di contatto, il che significa con le sue ‘lesioni tipiche’, l’incidenza dei traumi è inferiore ad altre discipline perché la preparazione atletica e fisica dei ragazzi è diversa”, aggiunge.
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